Racconto d'inverno by Del Buono Oreste

Racconto d'inverno by Del Buono Oreste

autore:Del Buono, Oreste [Del Buono, Oreste]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Minimum Fax
pubblicato: 2019-08-18T22:00:00+00:00


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Racconto d’inverno:

l’esordio nella neve di un folletto insonne

di Ernesto Ferrero

Per chi non ne conosceva la storia, non era facile ritrovare in Oreste del Buono le ferite che gli avevano lasciato addosso la guerra e la prigionia, ma che venivano ancora da più lontano, da una famiglia che non gli aveva dato, a suo dire, né il calore degli affetti né una formazione sicura. Si presentava come un folletto mercuriale, un coboldo un po’ irridente e beffardo, ubiquo e imprendibile, autoironico, sempre pronto a minimizzare quello che faceva: un poliedro dai mille interessi e dai mille lavori.

Era stato traduttore di molti autori francesi classici e contemporanei, giornalista, fondatore e direttore di collane editoriali, direttore di Linus con cui aveva sdoganato il fumetto (quando la cultura pop veniva guardata con sospetto perché non impegnata), narratore, titolare di rubriche molto seguite sul Corriere della Sera e La Stampa, intenditore di calcio, televisione, pubblicità. Si vantava d’aver scritto almeno cento lettere di dimissioni. Non c’era nuova impresa che non lo appassionasse e coinvolgesse, e presto gli risultasse insopportabile, perché aveva già capito tutto quello che c’era da capire, e anelava sempre nuove sfide. Leggendaria (e rivelatrice) la sua insonnia. Era un pendolare per scelta che stava bene solo nella precarietà.

Un irrequieto cronico, insoddisfatto di sé, che non si sentiva all’altezza di quello che voleva essere. Era persino arrivato a ritirare e distruggere l’intera tiratura di un romanzo già stampato (Un’ombra dietro al cuore, Einaudi) perché non gli sembrava riuscito. Una civetteria, certo, una sprezzatura degna di un dadaista. Ma anche una delle tante spie del rovello che questo libro aveva portato alla luce dell’autocoscienza.

E se, alla fine, per quel minimo di prospettiva che ci consentono i sedici anni passati dalla sua scomparsa, fosse proprio questo Racconto d’inverno, queste ossessive Variazioni Goldberg dell’anima prigioniera di se stessa, una delle prove narrative più persuasive di Oreste del Buono? Nessun dubbio sull’intima necessità da cui era nata. Più che un dovere di testimonianza, era l’urgenza di fare i conti con se stesso, di trovare una salvazione nelle ragioni della scrittura all’indomani di un naufragio che era in pari tempo personale e collettivo.

Ci soccorre qui qualche informazione biografica. Nato a Poggio nell’Elba nel 1923, lo scrittore si era trasferito a Milano nel 1935, campando di articoletti e collaborazioni ai giornali umoristici, come il coetaneo Italo Calvino. Nel luglio 1943, pochi giorni prima della caduta del fascismo, si era arruolato in Marina, come gesto affettuoso in memoria dello zio Teseo Tesei, che si era immolato nelle acque di Malta, attaccando una nave inglese nel porto di La Valletta a cavallo di un siluro a lenta corsa, uno di quelli che venivano chiamati «maiali». Sa bene che quella del fascismo è «una guerra sbagliata», ma non può restarsene nascosto come un disertore in quella che chiama la sua «tana di talpa».

Destinato alla base dell’isola di Brioni, in Istria, l’otto settembre veniva fatto prigioniero e destinato con una settantina di compagni a una prigionia da scontare in un campo di lavoro



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